Sitemap | Ricerca | Contatto |
Home > Biografia






La biografia del Papa Giovanni Paolo I

AL SERVIZIO DELLA CHIESA



Albino Luciani era nato a Canale d’Agordo, un gruppo di case nella vallata del Cordevole, in provincia di Belluno, circondato dai colossi dolomitici dell’Agner, delle Pale di S. Lucano, del Framònt, del S. Sebastiano e del monte Cielo, il 17 ottobre 1912.

 

La sua non era una famiglia ricca, tanto che il padre, operaio, doveva emigrare stagionalmente in Svizzera e in Germania finché non trovò lavoro come artigiano del vetro a Murano.

 

L’ambiente familiare, in cui la pratica di vita cristiana e la dignitosa povertà erano serenamente fuse nel ritmo delle azioni quotidiane, lo abituò fin dai primi anni alla chiarezza e alla capacità di riflessione interiore, sorrette da un’intelligenza viva e precoce.

 

Entrò nel Seminario minore di Feltre, poi al Gregoriano di Belluno, per accedere infine con pieno merito all’università Gregoriana, dove si laureò in Teologia con una brillante tesi su Antonio Rosmini.

 

Il 7 Luglio 1935 ricevette l’Ordinazione sacerdotale. In qualità di Vicario cooperatore ritornò al suo Canale d’Agordo, dove insieme alla intense attività pastorale svolse anche quella di insegnante presso l’Instituto tecnico minerario.

 

Nel 1937 rientrò nel Seminario Gregoriano di Belluno che lo aveva visto studente, questa volta in veste di Vicedirettore e insegnante di Teologia dommatica. Dal 1947, pur continuando l’insegnamento della Teologia e di altre discipline –Biblica, Morale, Patristica, Storia dell’Arte e Diritto Canonico- fu chiamato a ricoprire la carica di Pro Cancelliere, quindi di Pro-Vicario e infine di Vicario generale della Diocesi.

 

In veste di Segretariopreparò il Sinodo interdiocesano di Feltre e Belluno del 1947.

 

Come Direttore dell’Ufficio Catechistico attese all’organizzazione dell’Anno e del Congresso eucaristici bellunesi del 1949, raccogliendone poi la sostanzain un libro, Catechesi in briciole, assai apprezzato, tanto da essere edito per sei volte in Italia ed una perfino in Colombia. In esso Albino Luciani, rivelandosi scrittore fino e acuto osservatore, dimostrò appieno quelle doti di consisione e chiarezza che ebbero modo, in seguito, di essere assai apprezzate.

 

Cominciò allora a raccogliere scritti, appunti e ritagli, che oggi hanno raggiunto le dimensioni di una vera e propria biblioteca.

 

Preconizzato Vescovo di Vittorio Veneto nel Concistoro del 15 dicembre 1958, ricevette la solenne Ordinazione episcopale nella Basilica di S. Pietro per le mani di Papa Giovanni XXIII il successivo 27 dicembre. Era uno del primi Vescovi del Pontificato giovanneo.

 

L’attività pastorale di Albino Luciani nella Diocese veneta diede frutti fecondi. La sua missione si svolse con pari intensità sul piano spirituale, caritativo e culturale. Fu fra le sue prime preoccupazioni la organizzazione del clero e delle associazioni cattoliche, queste ultime invitate a collaborare strettamente con il Vescovo.

 

Diede impulso alla diffusione della « buona stampa » ; fu sempre sensibile ai disagi degli indigenti, cui non fece mai mancare il proprio conforto spirituale e aiuti concreti. Raccomandò ai sacerdoti della Diocesi l’uso di un linguaggio semplice e appropriato nell’evangelizzazione, e sempre in armonia con l’insegnamento della Chiesa.

 

 

DAL CONCILIO AL SINODO

La chiarezza d’espressione dote innata, gli era venuta in soccorso anni addietro, quando il giovane don Albino – laureato di fresco in teologia con una tesi sull’origine dell’anima nel pensiero di Rosmini – s’era trovato a illustrare il Vangelo nel paese natio a gente semplice e buona, ma che di Rosmini non aveva mai sentito parlare.

 

E per farsi intender meglio dall’uditorio, cominciò a inserire nei brevi sermoni raccontini e aneddoti, particolarità che gli rimase anche in seguito quando, per tre anni, pubblicò sul mensile « Messaggero di S. Antonio » una serie di « lettere » - raccolte poi in volume – indirizzate a personaggi, i più disparati, protagonisti della storia, della favola o della letteratura.

 

L’esperienza compiuta in quelle pievi paesane lo convinse dell’efficacia e della difficoltaà del ministero della parola.

 

Sul tema dell’evangelizzazione tornò molti anni dopo, nel 1974, in occasione della Terza Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi. In un suo intervento ribadi che la dottrina cattolica, pur riconoscendo a tutta la communità dei fedeli il compito di evangelizzare, attribuisce ai Vescovi un munus particolare nell’esercitare tale compito, quello che vien loro dalla Parola di Cristo : « Chi ascolta voi ascolta me ». Munus che non può essere confuso con l’impegno di tutta la comunità ad evangelizzare. Solo il mandato del Vescovo conferisce il potere di predicare autorevolmente la Parola di Dio.

 

Partecipò al Concilio Vaticano II, del quale seppe comprendere a fondo lo spirito ed interpretare gli insegnamenti. Fu tra i più solleciti ad impartire le opportune disposizioni al clero e ai fedeli della sua Diocesi.

 

E’ del 18 aprile 1962 una sua lettera pastorale (“Note sul Concilio”) in cui si precisavano le istruzioni da tenere ai fedeli, secondo uno schema consueto, sulla natura del Concilio, le diverse fasi della sua preparazione, gli scopi del Concilio stesso, cloè la soluzione di problemi dottrinali e pratici, con l’invito all’unione ecumenica e la esortazione alla preghiera ed alla speranza.

 

Una naturale prudenza, unita alla concretà esperienza pastorale, lo aiutano a valutare e ad interpretare correttamente talune decisioni emerse dal Concilio.

 

La Conferenza Episcopale Triveneta lo vede impegnato in un compito assai delicato : la stesura delle parti teologiche, in particolare di quelle di teologia morale, e la preparazione dei documenti collegiali.

 

Luciani lo assolve con rigore dottrinale e un’osservanza scrupulosa dell’insegnamento della Chiesa.

 

L’assoluta fedeltà al Papa e il cattolicesimo rigoroso sono una costante della sua vita e della sua missione sacerdotale.

 

Il tema della paternità responsabile lo vede impegnato in uno studio meticoloso, integrato da consultazioni e colloqui con insigni medici e teologi. E’ un problema difficile; egli avverte la grave responsabilità della Chiesa (del Magistero ecclesiastico) nel pronunciarsi su una questione tanto delicata e discussa.

 

L’emanazione dell’Enciclica «Humanae Vitae» lo solleva da ogni dubbio. Il Vescovo di Vittorio Veneto è fra i primi a diffonderia e a ribardine l’indiscutibilità nei confronti del documento pontificio.

 

Il 15 dicembre 1969 fu chiamato da Paolo VI a succedere al Cardinale Urbani nella Sede Patriarcale di Venezia.

 

Nel segno dell’umiltà, Albino Luciani prese possesso dell’antica Diocesi il 3 febbraio del 1970 con una solenne ceremonia nella Basilica Cattedrale di S. marco. Erano passati quasi cinque mesi dalla morte del Patriarca Urbani. Albino Luciani gli subentrava lasciando con qualche rimpianto Vittorio Veneto, dove i lunghi anni di missione pastorale gli avevano procurato l’affeto e la stima di tutti.

 

Fu un ingresso indimenticabile. Venezia in festa accolse il nuovo Pastore come un grande dono del Papa.

 

IN DIALOGO CON LA CULTURA

La semplicità del nuovo Patriarca conquistò le simpatie dei veneziani. Il periodo di vacanza al vertice del Patriarcato aveva mostrato uomini e cose sotto un aspetto diverso, acuendo l’urgenza di alcuni problemi.

 

La Venezia religiosa, ove tutto sembrava tranquillo, avvertiva in realtà i fermenti spirituali di quegli anni, filtrati da uno spirito tradizionalmente critico e riflessivo. Nell’ultimo mezzo secolo Venezia aveva dato alla Chiesa due Pontefici, due grandi riformatori, proprio in periodi nei quali tutto si credeva accettato e acquisito.

 

La Venezia della cultura. Tutti i problemi passano per la città: problemi d’arte, di storia, politici e civili. A S. Giorgio le moltissime sale sono occupate in continuità ed i Convegni si avvicendano l’uno all’altro.

 

C’e poi la Venezia industriale, ed è questa che maggiormente preoccupò il nuovo Patriarca fin dai primi tempi dlla sua missione. Lo sviluppo dell’entroterra veneziano favoriva il moltiplicarsi delle famiglie operaie, che chiedevano preti e chiese; di contro procedeva inarrestabile lo spopolamento della laguna.

 

Tutte queste ansietà provò Albino Luciani, e subito si mise al lavoro fra il suo popolo. Non soltanto quello del Liston o di S. Marco, ma anche quello della terraferma.

 

Da Porto Mennai a Caorle, da Piazza Ferretti a Marengo, dagli Alberoni a Jesolo, ovunque incrementò l’assistenza religiosa, la formazione dei giovani, l’educazione dei bambini, l’aiuto agli indigenti.

 

Il suo esempto è quello di una vita semplice e attivissima. I primi atti sono indicativi dell’indole dell’uomo; il suo ingresso in Diocesi è caratterizzato dall’abolizione del tradizionale e fastoso corteo sull’acqua. Si muove per le vie, fra la gente, è sempre uno qualsiasi, saluta tutti, è sempre disponibile.

 

Quando, nel settembre 1972, ospita Paolo VI in occasione del memorabile viaggio a Venezia, il Pontefice trova una città diversa.

 

Il dono della stola davanti alla folla del fedeli che gremiva Piazza San Marco è come un annuncio della Porpora cardinalizia che Paolo VI gli conferirà di li a qualche mese.

 

Nel concistoro del 5 marzo 1973 il Papa annunciò i nomi di trenta nuovi Cardinali. Fra essi Albino Luciani, del Titolo di San Marco a Piazza Venetia. Con la sua elezione a membro del Sacro Collegio si infittiva la schiera dei Cardinali patriarchi della città lagunare: Sarto, La Fontaine, Piazza, Agostini, Roncalli, Urbani.

 

L’attività dei Card. Luciani s’intensifica. I suoi impegni sono gia numerosi.

Nel’71 aveva preo parte al Sinodo dei Vescovi, invitato personalmente dal Papa. Nel ’72 era stato Vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, carica che conservò per tre anni.

 

La mentalità aperta alle innovazioni, sempre lucida e attenta, la conoscenza profonda dei fenomeni sociali surrogata dallo studio intenso e dal naturale istinto critico, lo spingono ad affrontare sempre con grande opportunità e senso della misura le grandi complesse tematiche del nostro tempo.

 

E’ l’ora difficile del «referendum» popolare sui divorzio. Il vescovo delle «lettere», che esprime con dolcezza e senso paterno le verità della fede, che parla d’amore, non acceta che i giovani della Fuci, universitari cattolici, e della communità studentesca di San Trovaso, dei quali ha pur consentito sperimentazioni liturgiche e ricerche bibliche quasi ai limiti dell’ortodossia, si schierino per il «no». Ne scioglie le organizzazioni, con un gesto di risonanza nazionale. Sulla fede, sulla dottrina cattolica non transige.

 

Le pastorali di richiamo ai «cattolici critici, o del dissenso» si infittiscono. Sono richiamo ai senso di chiarezza, al pensiero della Chiesa. Mettere l’uomo al centro, e non Dio, pur nell’amore verso i fratelli, non è cristianesimo; perché il primo Comandamento è amare Dio; e amare i fratelli è il segno dell’amore per Dio.

 

Il pluralismo può esservi nei campi dov’è opinibilità, non sui dogmi, altrimenti diventa «trappola mortale» e «alterazione della fede».

 

In due solennità: l’Immacolata (8 dicembre) e la festa di Santa Lucia (13 dicembre), il Patriarca di Venezia illustra ai fedeli in San Marco i due temi di grande interesse dottrinale e attuale: «Il sacro pluralismo» ed «il falso pluralismo».

 

E’ un’illustrazione attenta ed esauriente, costellata di racconti, e di esempi, di frequenti richiami al Vangelo, al Concilio, alla parola del Papa. «Il pluralismo sacro deve coesistere con l’amore e l’autentico senso della Chiesa… Un sano pluralismo è rispettoso dei valori della tradizione». E’ il pensiero su cui aveva più insistitoPaolo VI, parlando nella Basilica di San Marco e appellandosi «alla bontà e saggezza delle genti venete».

 

 

SERENITA ED EQUILIBRIO

Aprendo, il 25 ottobre 1973, il XXIX anno accademico dello Studio Teologico per Laici, il Patriarca Luciani ricordava come lo Studio si proponesse di offrire una visione cristiana della vita e della problematica moderna, contribuendo a formare il laico del post-Concilio, capace di assumere competentemente il proprio posto nel popolo di Dio, con fede più illuminata, responsabile e matura. E soprattutto come offrisse i contenuti del messagio della salvezza in una trattazione organica e viva, comprendente le principali discipline teologiche, rivedute e ordinate alla luce del Caticano II. A conclusione del VII Convegno  Rezzara, a Recoaro, il 16 settembre del ’74, espose in una magistrale relazione i grandi temi: «Popolazione, ambiente e risorce nella dinamica internazionale»… Fra l’altro affermò che non basta usare bene le risorce del mondo, se non si pensa a svolgere una saggia azione, per migliorare le qualità dell’ambiente a favore degli uomini di oggi e di domani. Con la tecnica l’uomo ha il potere di trasformare l’ambiente umano in mille modi: è necessario che il mondo creato dall’uomo non nuoccia a quello creato da Dio.

 

Mai abbandonandolo l’istinto di scrittore agile e fresco, nell’aprile del ’74 pubblicò un intervento su «Il Gazzettino» di Venezia, dal titolo: il divorzio «Sacramento a rovescio». « … Penso che l’amore matrimoniale – scriveva Albino Luciani – sia donazione di sé all’altro, ma cosi intima e nobile, cosi leale e fiduciosa, che da una parte pretende tuto, dall’altra esclude tutti. Quell’amore è amore decapitato, se ammette riserve, provvisorietà e rescindibilità. Sicché il divorzio è una spada di Damocle sull’amore dei coniugi: genera incertezza, timore, sospetto. Anche la maternità suscita timori».

 

Fedele ai principi del Magistero, è propenso a pardonare i peccati della carne, ma non quelli dello spirito. Particolarmente severo si mostra verso chi ha la responsabilità di divulgare il proprio pensiero con scritti e parole, ancorché autorevoli.

 

In un articolo apparso il 23 gennaio 1974 su L’Osservatore Romano egli esprimeva il suo pensiero sulle «Responsibilità dei teologi», mettendo in rillevo il fatto che i teologi possono esagerare nell’uso della libertà, se dimenticano che la teologia è una scienza sacra e la trattano come fosse una delle tante scienze umane. Mancano alla fedeltà, se si preoccupano solo di produrre «trovate» originali e di procacciarsi gloria personale, se dimenticano il bene della Chiesa, se non ricordano che corrono anch’essi il rischio di prendere dei grossi «granchi».

 

In un altro scritto, analizzando sull’«identita del prete», affronta cosi la questione: «Sento dire:”Il prete ha perduto la sua carta d’identità“. Non è cosi… Non perdiamo troppo tempo nel domandarci chi siamo, perché non si tratta tanto di definire il nostro sacerdozio, quanto di viverlo. L’esempio di Cristo ci sta davanti: fu mite e umile, casto, povero e obbediente; pregò intensamente, tenendosi in contatto continuo col padre e insegnò a pregare; ci tenne tanto ad essere maestro, maestro piano, popolare; di Lui gli ascoltatori poterono dire: ”mai uomo ha parlato come quest’uomo“».

 

Padre e pastore vigilante si dimostrò sempre, anche quando si trattò di assumere atteggiamenti impopolari. Dei resto usava dire con San Paolo: «Si hominibus placerem servus Christi non essem».

 

L’amore per la Diocesi – assai apprezzato fu il dono dell’isola San Giorgio in Alga al Comune di Venezia, affinche fosse restituita all’antico splendore e ospitasse in futuro un centro di studi, ricerche e sperimentazioni per la salvaguardia della città – si concretizzava in un lavoro continuo e paziente. I suoi incontri con i bambini nelle parrocchie, nelle scuole, negli istituti, il suo stile di vita semplice e amabile suscitò nei fedeli un affetto profondo. Frequenti i suoi contatti con le autorità civili, che richiamò talvolta anche severamente e l’appoggio costante agli sforzi per migliorare la vita sociale.

 

La sua azione è sempre caratterizzanta da un equilibrio generato da serenità e chiarezza interiori. Chiarezza negli interventi sull’aborto, nei giudizi su movimenti quali il «femminismo», sull’ideologia marxista; chiarezza e studio profondi nella valutazione di fenomeni come la violenza, il terrorismo; solo per l’assassinio di Aldo Moro libera il dolore e l’indignazione, che esprime in un messaggio pastorale. «Crudele, cinico e terrificante» definisce quel gesto. «Noi siamo i frantumati, costretti a vivere in mezzo alla paura, all’insicurezza, all’intimidazione. Mancano tracce anche minime di pietà umana e timor di Dio».

 

 

SULLA CATTEDRA DI PIETRO

Sabato 26 agosto, ore 19,19: «Habemus Papam». Il cardinale protodiacono Felici annuncia al mondo la lieta notizia: la Chiesa cattolica ha il suo nuovo Pastore: Albino Luciani, patriarca di Venezia. Il suo nome è Giovanni Paolo I. Poco dopo l’annuncio, il nuovo Papa, sorridente e commosso, apparé per la prima volta sulla Loggia centrale delle Benedizioni. La folla applaude, la Chiesa è contenta per questa scelta frutto dell’opera dello Spirito Santo.

 

Il giorno dopo, domenica 27, Papa Giovanni Paolo I, rivolge dalla Cappella sistina il suo primo radiomessaggio «Urbi et Orbi»: «Un’alba di speranza – dice il nuovo Papa – aleggia sui mondo, anche se una fitta coltre di tenebra, dai sinistri bagliori di odio, di sangue e di guerra, minaccia talora di oscuraria: l’umile vicario di Cristo che inizia trepido e fiducioso la sua missione, si pone a disposizione totale della Chiesa e della società civile, senza distinzione di razze e di ideologie, per assicurare al mondo il sorgere di un giorno più sereno e più dolce». Al primo ‘angelus’ con i fedeli, sempre dalla Loggia centrale delle Benedizioni, il nuovo Papa, confida alle migliaia di fedeli raccolti in Piazza San Pietro: «Devo cercare di servire la Chiesa, Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere».

 

Il primo incontro il nuovo Papa lo ha con i cardinali del Sacro Collegio, i confratelli che lo hanno designato Capo del Collegio Apostolico e Successore di Pietro. E’ mercoledi 30 agosto. «Di questa unità – confida il Papa ai cardinali – noi sappiano di essere stati costituiti segno e strumento; ed è nostro proposito di dedicare ogni energia alla sua difesa ed al suo incremento, in ciò incoraggiati dalla consapevolezza di poter fare affidamento sull’azione illuminata e generosa di ognuno di voi».

 

Il secondo incontro di Giovanni Paolo I è riservato al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. L’auspicio del nuovo Papa è: «Pace e progresso per tutti i popoli». La Chiesa, assicura Giovanni Paolo I, è per una convivenza basata sulla fratellanza e la costruzione di una nuova civiltà.

 

Il giorno dopo, 1° settembre, Giovanni paolo I riceve I rappresentanti della Stampa internazionale, che hanno seguito per un mese circa i giorni di lutto per la morte di paolo VI e il conclave. Con questi «colleghi», Giovanni paolo I instaura un dialogo confidente e sincero. Il Papa raccomanda di presentare la Chiesa all’opinione pubblica con amore per la verità e con, rispetto della dignità umana. «Dalla comunicazione – raccomanda  Giovanni paolo I – dobbiamo giungere alla comunione».

 

Con una solenne celebrazione sui sagrato della Basilica Vaticana, Giovanni Paolo I, inaugura, domenica 3 settembre, l’inizio del suo ministero apostolico. Niente incoronazione, niente sedia gestatoria. All’insegna dell’umilità e dell’amore, Giovanni Paolo I, si presenta, alle migliaia di fideli e alle rappresentanze diplomatiche chiedendo «a tutti i nostri figli l’aiuto della preghiera, e ci abbandoniamo fiduciosi all’aiuto del Signore che, come ci ha chiamati al compito di rappresentante in terra, cosi non ci lascerà mancare la sua grazia onnipotente. Iniziamo il nostro servizio sostenuti dalla vostra preghiara». Piazza San Pietro ha dato ancora una volta l’immagine di raccogliere tutta la preghiera del mondo.

 

Il 6 settembre il suo primo grande incontro con i fedeli nell’aula del Nervi. Erano citre diciassettemila le persone giunte da ogni parte del mondo per vedere il Papa buono, il Papa che aveva rinunciato al fasto e ad ogni manifestazione che non fosse strettamente spirituale. Arriva a piedi dal fondo dell’Aula. Lo accolgono quasi timidamente. Basta però che pronunci le prime parole ché tutti imparino ad amarlo calorosamente. Parla semplicemente. Tiene la sua prima lezione di catechismo, «come se io fossi un semplice catechista di parrocchia»; chiama accanto a sé un chierichetto di Malta; lo intervista, lo carezza teneramente.

 

Parla senza aver preparato il suo discorso: vuole instaurare con i suoi figli un vero e proprio colloquio diretto. La gente quando esce dall’aula ha dipinta negli occhi una rinnovata certezza e un nuovo spirito di fede, carità, amore, umilità. Questo il primo dono di Giovanni Paolo I al suo popolo.

 

Giovedi 7 settembre il suo primo incontro con il Clero di Roma. Vuole riceverli subito i suoi più stretti collaboratori nella nuova Diocesi. Nel momenti precedenti al suo arrivo i parroci romani radunati nell’Aula Benedizione attendono ansiosi questo primo contatto. Si sono sempre sentiti divisi nei sentimenti tra l’orgoglio di essere il clero del papa e il dolore dei ridottissimo contatto col proprio Pastore. Ora attendono  di sapere come sarà il loro nuovo Vescovo. Arriva, col sorriso sulle labbra. Gli parla cosi semplicemente; gli ricorda il dovere dell’obbedienza; la difficoltà di proseguire con spirito di sacrificio nella missione affidata ai suoi discepoli dal Cristo; li esorta a non lasciarsi coinvolgere dal frastuono del mondo. «Non conosco quasi nessuno tra voi – disse concludendo il suo discorso -. Vi chiedo scusa se ho parlato sommessamente. Vi amo molto». Quello che traspare dalle espressioni dei presenti lascia chiaramente capire che ormai nei loro cuori c’è solo fierezza per essere il clero di Papa Giovanni Paolo I.

 

Anche i suoi incontri domenicali con i fedeli riuniti nel più grande tempio del mondo, Piazza San Pietro, acquistano un fascino tutto particolare. Cinquantamila, settantamilla persone ogni domenica sono lì, con il volto rivolto verso l’alto, gli occhi fissi alla finestra. Esultano con lui e per lui, prégano con lui e per lui.

 

Sabato 23 settembre prendendo possesso della Cattedra di San Giovanni in Laterano Giovanni Paolo I getta un ponte ideale tra la Roma dell’ultimo scorcio degli anni settanta, la megalopoli angosciata dalla violenza, e la Roma diocesi privilegiata per essere quella del Papa. Procede col suo solito fare umile, ma incisivo. Lo fa prendendo lo spunto dalle letture della Messa e colloca direttamente nel Vangelo Roma, I romani ed il Vescovo di Roma.

 

Alle acclamazioni della gente fa eco il potente grido di osanna dei giovani. Un grido familiare nelle celebrazioni cui presiedeva il Papa Paolo VI, ma che lo avevano accompagnato soltano nell’ultimo periodo del suo pontificato: per Giovanni Paolo I invece quel grido è risuonato sin dal primo momento. I giovani hanno compreso immediatamente che Giovanni paolo I è il Papa degli umili, dei poveri, degli oppressi, degli emarginati.

 

Mercoledi 27 all’udienza generale sono circa 20 mila le persone che si sono prenotate. Un crescendo continuo che dimostra quanto Giovanni Paolo I sia amato dai suoi figli.

 

Giovedi 28 incontra il secondo gruppo di Vescovi. Dopo gli americani i filippini. Li esorta a proseguire sulla strada della evangelizzazione. Poco dopo le 23 dello stesso giorno Giovanni Paolo I si addormenta nella pace del Signore.